Sguardi d’amore alla morte

Paola Gares, psicologa clinica, psicoterapeuta transpersonale, metodo Biotransenergetica. Diplomata presso l’Integral Transpersonal Institute di Milano. Responsabile di sede Om a Brescia, dove vive e lavora, conducendo gruppi di meditazione e lavorando come psicoterapeuta individuale e di coppia. Responsabile della Unit Passage che si occupa del tema della Morte reale e simbolica e di tutti i passaggi di vita che coinvolgono lutti, separazioni ed elaborazioni. Appassionata di cammino all’aria aperta e in montagna, organizza gruppi intensivi a contatto con la Natura.

paola.gares@gmail.com

Erika Fracassi, infermiere, laureata presso l’Università degli Studi di Medicina e Chirurgia di Firenze. Appassionata e praticante alpinista, si occupa di temi spirituali per crescita personale e condivisione. Trova nella montagna la via evolutiva per eccellenza e nella Natura l’interlocutore più saggio, il luogo delle risposte. Organizza gruppi di cammino in cui fare esperienza a temi a lei cari. 

itsuptoyou@hotmail.it

Morire è facile. Per incontrare la morte ci vuole coraggio. (Accorgersene è difficile) 

Nella vita si muore tante volte. Moriamo noi, muoiono le cose che ci circondano. Muoiono le idee, i progetti, i corsi, i ricorsi, i luoghi, i momenti, le emozioni. 

Tutto muore e tutto nasce. Continuamente. 

Un divenire costante, vivace, vibrante. Nulla resta fermo. Nulla resta immobile. Nulla resta inalterato. Che le cose siano uguali a prima, che noi siamo gli stessi di ieri, è pura illusione. Superficialità d’analisi. Morire è facile appunto. Si muore tante volte, e spesso senza accorgersene. Per incontrare la morte, invece, ci vuole coraggio. Per riconoscere e accettare profondamente dentro di noi che nulla ci appartiene, nemmeno la nostra identità, nemmeno il nostro corpo, è necessario superare la paura dell’indefinito, lo spaesamento dell’ignoto, l’attaccamento ad un qualsiasi senso.

Solo una volta fatto spazio al vuoto è possibile osservare le cose come sono. Nel loro mutare costante, nella loro incontrollabilità. 

Solo in un atteggiamento mentale di profonda accettazione del divenire costante, del susseguirsi di fini e di inizi, di fini che sono inizi e di inizi che sono fini, è possibile prepararsi ad accettare la finitezza del nostro corpo fisico ed accogliere la morte di esso come un momento essenziale della vita. Viverlo dunque, non solo morendo, ma andando con calma consapevolezza  e naturale accettazione incontro alla morte.

Hai paura

Si…capisco..ce l’ho anche io…

Ce l’hanno tutti. È normale, è umano. Si ha paura di ciò che fa male, soprattutto se è sconosciuto, se viene da lontano, se non ci sono parole per spiegarlo o capirlo, se non sentiamo alcun potere o controllo, se cerchiamo in ogni modo di afferrarne il senso ma ci sfugge come sabbia tra le dita, se è un’intera vita che tentiamo di sbirciare dal buco della serratura per vedere cosa c’è oltre e quell’oltre sembra ogni volta più confuso, indefinito, indecifrabile.

L’uomo osserva la Morte dalla notte dei tempi, la interroga, la seziona chirurgicamente, cuce complicate ed affascinanti storie sulla sua forma, sul suo cammino, sul suo messaggio, e ogni volta Signora Morte gli sfugge di mano, ha la meglio, rimane un mistero senza risposta certa, se non a chi nutre una fede senza riserve e sceglie il senso a cui affidarsi.

Io non appartengo a queste persone.

Non ho una risposta, non ho un credo che mi quieti l’anima quando è tormentata dalla paura dell’ignoto, qando sente bussare la Morte in tutte le sue forme: quella fisica che rende l’uomo mortale e densa di dolore ogni separazione, come pure le innumerevoli morti simboliche che ogni essere umano trova sul suo cammino centinaia di migliaia di volte in ogni vita.

Non ho un credo ma un sentire che quindi non ha pretesa alcuna di essere la risposta o la via. Desidero qui condividerlo con chi sente il richiamo del monito di Signora Morte a cercarne il senso tra le pieghe dell’esistenza o con chi la teme  e desidera o spera di farsi amico un nemico. (Un interesse controfobico direi, non meno dignitoso di altre ricerche spirituali più comuni, dato l’argomento.)

Ma non sono sola, non sono così forte, né mi sento così importante. Prima di me, a segnare il cammino, a cercare di indicare la via, a ricordare l’importanza di avvicinarsi a Lei, di respirarla, di esercitarla in vita, di entrarci più possibile in confidenza, i grandi Maestri Spirituai di tutti i tempi e i luoghi. È sulle loro spalle che mi poggio, è il loro sostegno che mi guida e insegna. 

“Di tutte le impronte quella dell’elefante è la suprema, di tutte le meditazioni di presenza mentale, quella sulla morte è la suprema”. Così ci suggerisce un detto proveniente dalla filosofia buddhista tibetana. Dentro queste parole, il senso di tutti gli insegnamenti provenienti dalla tradizione spirituale di ogni tempo e luogo, come ci indica la filosofia perenne.

La tradizione tibetana chiede quindi alla nostra cultura accelerata e consumista di fare retromarcia. Perché spinti dalla paura della Morte, abbiamo costruito una società che la rifiuta e la fugge più possibile. Non si può invechiare, il tempo che ci avicina alla morte non si deve vedere, e di conseguenza nemmeno accettare. Non si portano i bambini ai funerali, in ospedale, di fronte ai lutti o alle malattie. Non si può parlare di morte e nemmeno nominarla, non si possono dire parole come tumore, cancro o simili, sostituite da termini più protettivi come “quella malattia”, “il male”.

Così ogni malattia che ci ricordi la nostra finitezza deve essere tenuta nascosta, sconfitta. È una guerra tra noi e la Morte, nell’assurda illusione di avere qualche arma per vincerla. Creando di conseguenza situazioni del tutto lontane da un benessere di qualità quale può essere vivere sapendo di essere vivi.

Nemmeno i defunti possono essere chiamati morti ma sono coloro che passano a miglior vita, che mancano all’affetto dei loro cari, che non sono più tra i vivi o si sono spenti…

Ogni silenzio ci richiama la spaventosa anticamera di Signora Morte e così lo riempiamo di suoni, di pensieri, di compensazioni virtuali, sociali, iperdionisiache fino al limite di disconnetterci dal sentire, così dal non provare.

Copriamo i capell bianchi, tiriamo le rughe, riempiamo di filler il viso, così come riempiamo di filler i nostri pernsieri in modo che ci portino ovunque ma non lì, non di fronte a Lei. È vietato il vuoto, è allontanata la solitudine, è fuggito il silenzio, è combattuta inutilmente ogni fine. E poi, quando arriva, come ci ricorda il buon Tiziano Terzani nel meravglioso libro “La fine è il mio inizio”, siamo impreparati, soffriamo terribilmnte, ci aggrappiamo alla vita e così facendo, soffriamo ancora di più. Perché non la vogliamo lasciare andare, perché abbiamo trascorso l’esistenza cercando di dimenticare la presenza della Morte e di conseguenza non abbiamo imparato l’inevitabile finitezza di tutte le cose. 

Girare le spalle alla Morte ci ha solo illusi di tenerci aggrappati alla vita o di tenere la vita aggrappata a noi. E così arriviamo di fronte ad ogni fine impreparati, sperimentando paura, anisia o terrore e a volte depressione.

E allora fermiamoci.

Respiriamo un attimo e fermiamoci.

Tutto è impermanente, questa è una legge della vita e non possiamo cambiarla. Possiamo solo decidere, come ci suggerisce la tradizione spirituale perenne, cosa fare di fronte a questa legge. Possiamo smettere di scappare e finalmente rivolgerci verso ciò che sentiamo, verso la paura, verso il terrore, alla ricerca di un senso.

Ed è la stessa Morte ad indicarci il suo senso: imparare la legge dell’impermanenza, smettendo quindi di combattere contro di essa, allenandosi a lasciare andare di fronte ad ogni piccola o grande morte.

Che non vuol dire non soffrire, ma significa non trattenere, non lottare, non rifiutare, accogliere, fluire con, saper vedere con occhi chiari che riconoscono che COSÌ É.

Non sempre è bello, non sempre è desiderabile, non sempre è senza dolore o sofferenza. Semplicemente così è la legge che ogni vita nell’universo trasporta nei suoi atomi e nelle sue particelle e che indica che tutto è soggetto al continuo cambiamento, che niente è per sempre e che quindi ogni cosa ha una fine.

Rifiutare questa fine è sciocco oltre che inutile. Porta a un’illusione che possiamo anche nutrire per un certo periodo della nostra vita, ma che come ogni cosa, sarà destinata a incontrare la sua fine.

Ogni sforzo per sfuggiore a questa Verità produrrà solo attaccamento e conseguente dolore (con tutti i correlati psicologici clinici relativi alle dipendenze e ai disturbi di ansia e depessione).

Rifiutarla quindi, crea malattia.

Ma la buona notizia che proviene proprio dalla antica filosofia buddhista e da tutte le tradizioni originarie è alla nostra portata ed è una via che ognuno di noi può percorrere e il cui punto di partenza è rappresentato dalla possibilità di guardare negli occhi Signora Morte ogni volta che la vita ce ne dà la possibilità senza fuggire via. Restare. E ascoltare.

Cosa accadrebbe se ci permettessimo di contemplare a lungo l’immagine della nostra morte o del nostro funerale?

Cosa accadrebbe se respirassimo profondamente di fronte all’immagine del nostro corpo in decomposizione che si dona alla terra?

Cosa accadrebbe se camminando in un cimitero, chiudessimo gli occhi, aprissimo le mani e stessimo in ascolto?

Se ci permettessimo davvero di stare di fronte all’uscio di Signora Morte e guardarla, osservarla, respirarla?

L’insegnamento del’antico buddhismo theravada e di tutte le tradizioni originarie indica la risposta a questi interrogativi esistenziali.

Stare di fronte alla Morte in meditazione contemplativa e profonda apre le porte che si trovano dietro il palcoscenico su cui si manifesta la prima e più antica paura biologica della fine della propria esistenza: ciò che questa paura nasconde, se attraversata, è la possibilità di accettare l’idea della finitezza, dell’impermanenza, del ciclo perenne vita-morte-vita di tutte le cose. E quando questa meditazione è esercitata, la nostra mente apprende a generalizzare l’insegnamento ad ogni aspetto della vita quotidiana. Impariamo a guardare con occhi nuovi ciò che ci circonda. Occhi che sono in grado di immaginare che lasceremo tutto, che tutto si trasforma, che tutto ha una fine, che ogni cosa è destinata a morire. Occhi quindi capaci di generare uno stato di coscienza definito dalla psicologia del profondo e dalle tradizioni spirituali “non attaccamento”.

“Una volta che la paura della morte è eliminata, il modo di essere nel mondo si trasforma. Di conseguenza, non vi sono differenze fondamentali tra l’addestramento al morire e alla morte da una parte e la pratica spirituale che conduce all’illuminazione dall’altra”. S. Grof

E ciò che si trasforma grazie al non attaccamento è il modo di vivere: se non posso trattenere nulla, ciò che resta è fluire con la vita accettare gli accadimenti, lasciare andare, essere totalementeme ancorato/a al momento presente, godere di ogni istante che offra nurtimento e possedere una mente lucida e vuota in grado di scegliere la giusta azione da attuare per operare sul qui e ora. 

Rinunciando all’illusione onnipotente del controllo e alla frustrazione della totale impotenza generata dalla paura, riacquistiamo quindi potere personale sulla nostra vita. Il potere di restare e saper discernere il proprio posto e la propria direzione nel momento presente, che viene quindi vissuto a pieno in ogni sua potenzialità.

Liberi dalla paura, la Morte può quindi ricordarci che non esiste altro momento in cui vivere se non adesso. 

È adesso che puoi fare la differenza nella tua vita, ora, in questo istante in cui ti stai accorgendo di essere vivo/a.

Liberi dal bisogno del controllo circa il futuro o dal risentimento verso il passato, si apre di fronte a noi la sconfinata ed unica possibilità di vivere che abbiamo: L’adesso! Il qui!

E da questo presente in cui possiamo fare la differenza, riusciamo quindi a riconoscere il sacro potere spirituale della Morte.

La sua indicazione è di scendere dalla mente duale pensante che vive nel tempo psicologico del passato e del futuro, al Cuore unitivo che sente e vive nel tempo cronologico del qui e ora: altrimenti chiamato Sé.

È solo da quetso Sé che ha inizio ogni cammino spirituale.

Il passaggio attraverso la Morte è quindi stretto e spaventoso, ma se ci permetteremo di attraversarlo essa ha in serbo per ognuno/a di noi i più profondi doni verso il risveglio spirituale e la consapevolezza di quel Sé a cui ogni tradizione antica fa riferimento quando parla di Dio.

“Fare esperienza del vuoto è fare esperienza di Dio” P.L.Lattuada

BIBLIOGRAFIA

  • Gares, P. La via Maestra. Morte e rinascita, orizzonti di consapevolezza. ITI Edizioni, Milano, 2018
  • Grof, S. L’ultimo viaggio. Terapia psichedelica, sciamanesimo, morte e rinascita. Adria: Apogeo, 2006
  • Lattuada, P.L., Appunti dalle lezioni di Psicoterapia Transpersonale, Integral Transpersonal Institute
  • Terzani, T. La fine è il mio inizio, collana Il Cammeo, Longanesi, 2006

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